Dall’osservazione
alla visione
3ème Millénaire n. 84 – Traduzione della dr.ssa Lucina Scalabrini
La psicologia, uno strumento di osservazione
dell’ego.
Il termine stesso di psicologia (letteralmente: trattato
sull’anima o studio dell’anima umana
e/o
animale) è relativamente recente, poiché non apparve che nel diciottesimo
secolo. Ma la scienza, perché si tratta di una scienza umana, che questa parola
veicola, è antica come la psicologia stessa. Da
Pitagora ad Aristotele, passando per Socrate e Platone, Bacone o Cartesio e più
vicino a noi Hegel o Bergson, le osservazioni psicologiche sulla natura umana
furono molte, ma sempre mischiate a speculazioni filosofiche e/o religiose e
spirituali, spesso mescolandosi questi due termini in certi filosofi e
psicologi.
Qual è la natura dell’anima? E’ eterna e immortale, ma
allora in quel
caso non è più giusto parlare di spirito? Ecc...
Non è che verso la metà del diciottesino
secolo. Specialmente in Scozia e in Germania con la Scuola di Kant che la
psicologia diventa una scienza distinta dalla filosofia o dalla spiritualità,
senza tuttavia separarla all’epoca di vedute o concetti a connotazione
metafisica.
La psicologia che porta al me, cioè
alle componenti stesse della personalità si confonde allora con la conoscenza
del me. Ci si attiene così ad una descrizione del mondo esterno dell’uomo. La
psicologia si orienta verso il modo di funzionamento dell’ego, senza
preoccuparsi di ciò che c’è dietro la manifestazione, che si può chiamare il
Sé.
Allora è l’oggetto di metodi più o meno empirici, abbastanza
approssimativi – come potrebbe essere altrimenti quando
si cerca di catturare l’inconoscibile, quando si prende un’istantanea di una
psiche umana così fuggevole – fino a che la psicologia diventa una scienza
oggettiva e positiva, meccanicista, che va fino a essere ridotta ad una
modellizzazione centrata su una visione dell’uomo nella sua natura
essenzialmente psico – chimica!
Quella illusione cartesiana fu mantenuta a lungo in un mondo pseudo
– scientifico e pseudo- spirituale che non considerava che la parte visibile
dell’iceberg, un po’ come se proclamaste con autorità che l’utilità di un
albero non è che nei frutti esterni che dà, senza nemmeno preoccuparsi del
nutrimento che gli occorre attraverso le radici.
La psicologia rimase molto tempo un mezzo di
ignoranza dell’essere, pur rivendicando il fatto di essere uno strumento
di conoscenza dell’individuo. D’altra parte, per lei non c’era nessuna
differenza tra l’essere e l’avere, tra ciò che sta dietro il velo e ciò che il velo dà a vedere.
Si deve per forza constatare che tutte le credenze in vigore
nel corso dei secoli erano fondate su una conoscenza frammentaria e analitica
dell’anima umana considerata nella sola dimensione duale e individuale.
E’ normale che quello si accompagnasse
ad un approccio della sola conoscenza del me e non di quella del Sé.
La scienza duale della psicologia rispondeva ai bisogni
scientifici generali che erano comprendere e conoscere l’ego, niente di più,
niente di meno…
Verso la fine del secolo scorso si distingue una psicologia
di tipo ontologico, branca della metafisica che ha per scopo di determinare la natura intima,
l’essenza dell’anima, le radici dei suoi comportamenti, la sua origine, la sua
fine eventuale, e una psicologia scientifica o sperimentale fatta di test e di
norme, che è piuttosto una scienza positivista nella quale lo psicologo studia
l’uomo dalle sue reazioni, dai comportamenti e attitudini, in funzione dei
diversi ambienti. Quest’ultima branca ha originato un numero impressionante di approcci come: la psicologia di reazioni e comportamenti
(Pavlov, Pieron…), la psicologia patologica (Freud, Wallon…), la psicologia
introspettiva (W.James, Bergson), la psicologia infantile (Piaget…), la
psicologia dei primitivi… E’ chiaro che attraverso tutte quelle scienze
d’approccio essenzialmente cartesiano, l’essere umano è pre–dimensionato,
pre-formato in un ego individuale e/o di gruppo, un individuo divisibile e
spezzettato, separato in pezzi da osservare e da analizzare poi da comprendere
con un assemblaggio delle diverse parti, più o meno logico e coerente.
Si trova così ad essere frammentato e diviso a confronto con
l’unità della vita.
La visione parziale dell’osservatore è una visione analitica
che separa l’essere umano da ciò che è in essenza, cioè
un soggetto vivente e non un oggetto vissuto e agito come lo vorrebbe la
psicologia contemporanea, di qualsiasi specie.
L’approccio all’essere cioè a ciò
che è (la natura della spiritualità) e non di ciò che appare (proprio della
psicologia) non può essere compreso attraverso un’osservazione di natura duale,
per quanto possa essere fine e sottile. Perché lo strumento utilizzato,
l’utensile impiegato sono per forza falsati. La cosa
osservata è evidentemente della stessa natura dello stesso osservatore, cioè soggetto ad interpretazione, che viene da un mondo
fatto di credenze, di idee ricevute, di leggi personali e di ricette
preconfezionate.
La psicologia dimostra con la sua propria
natura strumentale, con i suoi limiti sull’investigazione dell’essere di cui
non vede che la parte esteriore, l’ego. Non è che uno
strumento metodologico che ha il suo campo d’esplorazione e di conoscenza dei
meccanismi di funzionamento del me, delle sue strategie, delle sue paure, della
sua storia, di tutto ciò che forma le sue memorie personali.
La psicologia è polisemica, spaziale e temporale,
multifattoriale, lineare, a spirale nel migliore dei casi quando propone
un’articolazione evolutiva della psiche umana. Questo mezzo d’esplorazione
delle prime zone esterne dell’uomo risponde al bisogno pressante di ricerca dei
sensi che riguardano l’ego. In quel senso traduce la paura dell’inconscio, del
non controllo che caratterizzano le società centrate sul solo approccio
intellettuale dell’essere umano. La perdita e l’assenza di senso sono
insopportabili per il mondo della scientificità orientata verso i saperi sulla
vita e non verso la conoscenza della vita.
Così sono nate dalla paura di non “scegliere il mondo”
numerosi approcci classificati come scienze umane: psico-sociologia, psicologia
clinica, psicanalisi, psicologia spirituale. Nello
stesso tempo sono fiorite altre pseudo–scienze umane:
numerologia, astrologia, ecc. , tutte con la radice
“logia”(scienza), che rivendicano il giusto fondamento delle proprie leggi e
delle proprie deduzioni.
Tutti questo mezzi di approccio all’anima umana sono fondati su una logica
duale: osservatore e cosa osservata. La ricerca del senso, con la paura di
trovarsi di fronte a qualcosa di insensato, si affina
perfino con la statistica. L’ego è così esplorato al microscopio elettronico che
fa lo zoom sulle zone isolate e frammentate del ne.
L’unità dell’essere non può essere incontrata in quel modo.
Il profumo dell’uno non può essere chiuso in una boccetta psicologica. Solo la
sua composizione chimica può essere vista, l’essenza e la fragranza essendo
inafferrabili.
Vi verrebbe in mente di andare sulla luna in T.G.V. o di navigare con uno scafandro di piombo?
Sicuramente il
materiale e il mezzo sono inadatti.
Pensate davvero di sapere che cosa è una cicala osservando
al microscopio la natura fisico- chimica delle sue
elitre?
Non posso investigare il mondo dell’essere- uno, ultimo- io
con un attrezzo o un mezzo di trasporto e di conoscenza
inadatto e costruito nel campo dell’ego e della personalità esteriore.
La psicologia è dunque incompetente in materia di conoscenza del Sé,
pur restando valida nel campo del sapere sul me e le sue zone psichiche, cosa
che ha già dimostrato.
La spiritualità -
Visione dopo l’Ultimo Io.
La visione spirituale di un essere è unicista, inglobante e
non saprebbe essere ridotta ad una osservazione
parcellizzata dell’ego, solo oggetto di studio di una psicologia attuale che
non è ancora centrata che su quello che l’uomo dà a vedere e non su ciò che è
dietro il velo.
Mentre la psicologia è osservazione del me, la spiritualità è
visione dell’essere.
La prima vera domanda che si pone ad un essere aperto alla
spiritualità è la seguente:
Posso vedermi senza i filtri abituali del me? In altre
parole: posso avvicinarmi a me stesso senza cadere immediatamente nelle reti
dell’osservatore in me che mi giudica, mi colpevolizza e mi censura?
Questa domanda non può evidentemente essere fatta dalla
psicologia perché la visione del me, per essere obbiettiva e lucida, deve
essere fatta da un luogo che non può essere il me. Il microscopio osserva il microscopio? Una mano può vedere se stessa nella propria
mano?
In questo la psicologia è incompetente.
E’ un po’ come se si domandasse alla mano di prendere il
vento o all’occhio di catturare la luce che riflette.
Non è più realista e sensato vedere ciò che sono in realtà, con tutti i condizionamenti, piuttosto che
cercare invano ciò che potrei essere?
Quando l’uomo e la donna cesseranno di fuggire ciò che sono realmente, sostituendo in sé il mondo che vorrebbero
vedere emergere?
Quando accetteranno le loro parti
d’ombra e di luce?
Quando metteranno fine alle proiezioni e alle
immagine di un domani spirituale ipotetico e virtuale?
Quando rinunceranno alle immagini puerili di un inferno, un
purgatorio e un paradiso?
Quando saranno ciò che in realtà sono?
Quando mi guarderò con verginità e di nuovo come se fosse la prima
volta?
Quando andrò al mio incontro senza condannarmi?
La seconda domanda che si pone all’essere spirituale in me è questa:
Posso vedere il vero?
Questa domanda non può per nulla essere compresa
dall’osservatore, dal me, dalla psicologia, perché essa oltrepassa perfino il
campo di esplorazione mentale che è proprio della
psicologia.
Chi è quell’Io?
Quell’Io è l’Ultimo Io. E’ la visione stessa, il vero, il senza
forma, il me considerato
falso, cioè l’ego nella sua dimensione d’apparenza esterna.
L’essere spirituale è il vero e il vero non può essere né osservato né
constatato, perché guarda se stesso. E’ la sua visione che si contempla.
Il vero non può essere definito, analizzato, esplorato,
perché è l’innominabile all’ultima retroscena
dell’osservatore.
In essenza, io sono visione, sono sguardo,
sono l’uno.
Quando c’è la visione, senza un centro che sta osservando o
vedendo, analizzando o classificando, il profumo dell’uno esala in tutta la sua
pienezza.
Nell’Ultimo Io, non c’è nessuno che guarda, nessuno che
ascolta, comprende o spiega.
La persona, che appare abitualmente, si cancella dal primo
piano, si fonde nell’Uno.
La scorza dell’ego esplode allora in un movimento di gioia e
d’amore liberando l’Essere dalla pesante cappa di piombo sotto la quale è stata per così tanto tempo chiusa.